SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: luglio 2014

A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

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giovedì 31 luglio 2014

… si fa presto a dire fresa. (5)

... il giorno della "SAGRA DELLA FRESA SANTUFILISE" (ovvero il 22 Agosto 2014) si avvicina. Con ospiti di riguardo e con tanta voglia di stare assieme. E' quasi completato anche il tavolo della presidenza del convegno. Tra gli altri ci saranno la dottoressa Rosanna Labonia, lo chef Mario Molinaro, lo scrittore Anton Francesco Milicia e l'artista Pietro De Seta. E ci saremo anche noi dell'Associazione culturale "Universitas Sancti Felicis" di San Fili.
Tu... sarai dei nostri?
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San Fili, si legge ancora su qualche rivista di settore o su qualche sito internet fermatosi all’età della pietra (per non dire della “scarola”), è un paese con un’economia prevalentemente agricola. Persino su Wikipedia c’imbattiamo in tale concetto. Alla pagina dedicata al nostro amato/odiato paesino, nello spazio dedicato all’economia, infatti leggiamo: “Produzioni agricole: castagne, fichi, funghi e olive”, stop!
Inutile dire che una tale definizione ci fa pensare immediatamente ad una bellissima, o quantomeno autosufficiente, casa in campagna con annessa una piccola azienda agricola a conduzione familiare. Siamo, però, nella realtà alla fine degli anni Sessanta del XX secolo. In quegli anni  sul territorio sanfilese persistevano ancora tantissime piccole aziende agricole gestite o da coltivatori diretti, o da soggetti con contratto di colono mezzadro se non da piccoli coloni. In tanti, nel nostro paese, fino agli anni del secondo dopoguerra o al massimo ai primi anni del boom economico, tra l’altro venivano assunti o quantomeno chiamati a svolgere lavoro di “giornaliero di campagna”.
Fino a quei tempi, sì!, l’economia sanfilese era un’economia prevalentemente agricola… e non solo. Tra l’altro l’agricoltura si trasformava quasi per magia in industria di trasformazione dei prodotti alimentari e di prima distribuzione degli stessi. In quella situazione a San Fili, anche se pochi si facevano realmente ricchi (e molti di quei pochi tra l’altro lo erano già da secoli), riuscivano a sopravvivere circa 5000 persone. Era tale la popolazione residente, ovviamente a San Fili, agli inizi degli anni Cinquanta contro i poco meno di 3000 dei giorni nostri.
Inutile dire che parlando di San Fili in effetti non faccio altro che fotografare l’intera situazione dell’hinterland cosentino… malgrado San Fili qualche carta in più da giocare nei confronti delle realtà territoriali confinanti nel suo mazzo le avesse pure (“oggi come allora” e in parte “allora come oggi”): la ferrovia (oggi ci basterebbe la superstrada), il territorio poco esteso (quindi più facilmente gestibile), la posizione geografica e geopolitica, una manovalanza flessibile e preparata, tante menti nonché una presenza di acqua aria pulita e natura circostante decisamente di qualità.
In una popolazione con un’economia prevalentemente agricola è normale trovare, dicevamo, case di campagna, e non solo di campagna, tipiche e quindi con annessi il ricovero per gli animali da allevamento ed… il forno per cuocere il pane e le frese (per ritornare al nostro tema portante). Tanti piccoli forni, ad uso familiare o al servizio di più famiglie, erano presenti anche nel centro abitato di San Fili.
Come non ricordare, altresì, il notevole numero di mulini ad acqua, presenti lungo i vari torrenti che scorrono sul territorio sanfilese? … mulini dove si macinava di tutto: castagne, mais (migliu), orzo e tant’altro. Quindi? … non solo grano.
Di fatti lo stesso centro abitato di San Fili per alcuni versi poteva benissimo essere definito come una indiscutibile “casa colonica” o “casa di campagna” per famiglia allargata. Fino alla fine degli anni Sessanta del XX secolo era possibile imbattersi, camminando lungo le viuzze interne del nostro paesino, in tanti catuoji (locale a pianterreno dove venivano allevati e custoditi animali di allevamento o necessari se non utili alla conduzione della campagna) in cui troviamo maiali, galline, vitelli, muli, buoi, pecore, capre e chi più ne ha più ne metta.
All’odore non ci faceva caso nessuno: il naso, e non solo quello, dell’essere umano prima o poi si abitua a tutto. E per quanto riguarda invece l’igiene? …questo  ancora non era entrato a pieno titolo nel limitato vocabolario dei residenti.
Ci vorranno i primi anni Settanta per poter leggere un’ordinanza del sindaco del paese, che all’epoca era Alfonso Rinaldi, in cui veniva ordinato “l’allontanamento” dal centro abitato di determinati animali.
Gli odori in cui ci si imbatteva percorrendo le viuzze interne di San Fili negli anni precedenti gli anni Settanta del XX secolo erano molteplici ed alcuni, come nel caso di una bella infornata di pane ed affini, erano pure decisamente piacevoli.
La preparazione del forno, utilizzando i residui prodotti dalla pulizia dei boschi (frasche, risultati di putature ecc.) circostanti il villaggio di San Fili, iniziata  alle prime luci dell’alba: Servivano almeno due ore di fiamma viva per garantire una giusta temperatura all’interno del benevolo… antro del diavolo.
L’impasto nella majiddra (ottenuto con farina, sale e lievito madre… pochi vi aggiungevano un po’ d’olio e qualcuno - ad avercelo - anche qualche cucchiaio di zucchero) era già pronto da un pezzo. Dopotutto l’operazione era iniziata la sera precedente con la preparazione della “levatina”.
Al forno ci pensavano gli uomini di casa, alla majiddra le donne.
Non tutti avevano dei forni in casa o quantomeno nelle vicinanze della propria abitazione. In tanti, preparate le pagnotte pronte da infornare, si dirigevano verso amici o parenti che avevano fatto loro il piacere di mettergli a diposizione la propria struttura. Non era raro, nella San Fili degli anni Sessanta, vedere donne con una lunga tavola sulla testa trasportare con la stessa, opportunamente coperte da un panno bianco - magari per evitare l’affascino da parte di compaesani invidiosi -, le forme delle pagnotte (o già predisposte a pitta e quindi in buona parte per ottenere a fine cottura delle ottime frese) pronte per entrare nel forno opportunamente surriscaldato.
Anche questo… era uno spettacolo.
(continua).
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... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace!

mercoledì 30 luglio 2014

… si fa presto a dire fresa. (4)

... il giorno della "SAGRA DELLA FRESA SANTUFILISE" (ovvero il 22 Agosto 2014) si avvicina. Con ospiti di riguardo e con tanta voglia di stare assieme. E' quasi completato anche il tavolo della presidenza del convegno. Tra gli altri ci saranno la dottoressa Rosanna Labonia, lo chef Mario Molinaro, lo scrittore Anton Francesco Milicia e l'artista Pietro De Seta. E ci saremo anche noi dell'Associazione culturale "Universitas Sancti Felicis" di San Fili.
Tu... sarai dei nostri?
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La fresa, questo l’ho già detto, è un prodotto che nasce, non si sa se per un puro caso o per una tecnica frutto di un lungo studio di menti eccelse - personalmente opto per la prima ipotesi -, in epoche a dir poco remote. Sicuramente la conoscevano, ovviamente con le giuste varianti locali, sia gli antichi navigatori e colonizzatori greci che gli abitanti dei nuraghi in Sardegna. Sicuramente è nata nel corso della prima esperienza di panificazione tramite cottura a forno: una pagnotta magari cotta male, non opportunamente segnata in superfice, scoppiata per il vapore che si creò al suo interno e… bis-cottata (ovvero cotta due volte: una prima intera ed una seconda in più pezzi grazie proprio al botto che aveva fatto).
All’inizio quel povero improvvisato fornaio raccolse immediatamente i pezzi della pagnotta scoppiata e, deluso, cercò di capire dove avesse sbagliato.
Quel lavoro era da gettare: duro ed immangiabile… eppure. Eppure messane qualche briciola in bocca la stessa si scioglieva nella saliva e, diciamolo francamente, si mostrava più saporita del pane stesso.
Se poi alla saliva si sostituiva, anticipando il processo di riumidificazione, della semplice acqua o un qualsiasi altro magari più aromatico liquido ci si ritrovava d’incanto difronte ad una pietanza da re o quantomeno da soggetti alquanto facoltosi.
Quel primo provetto fornaio si rese conto oltretutto che la pagnotta bis-cottata (ovvero la fresa) a differenza del pane normale non andava subito a male e poteva essere usata anche dopo diverse settimane dalla sua cottura mantenendo quasi inalterato il sapore iniziale.
Quindi vide che il risultato dell’errore era cosa buona e, studiando il processo di tale errore, lavorò per facilitare il procedimento stesso: la fresa, grazie al citato errore - o per un semplice caso -, entrava in tal modo nella storia dell’Umanità.
Un prodotto alimentare a lunga conservazione oltretutto permetteva ai semplici lavoratori o agli avventurieri dei primi secoli di affrontare senza grossi problemi lunghe assenze dalle proprie abitazioni… dalla propria tribù.
Che ci crediate o no (chi scrive non ci crede) fu proprio grazie alla fresa che si misero su i primi pilastri delle grandi civiltà e quindi dei mitici imperi del passato.
Oltretutto quella ormai storica fallimentare prima infornata fece capire un’altra cosa importantissima al nostro eroe del fuoco e della pala: era necessario, per evitare che un numero eccessivo di pagnotte scoppiasse durante la cottura (la fresa è bella ma a lungo andare e col solo suo uso fa desiderare anche una bella fetta di pane fresco al nostro sempre più delicato palato). Le poche pagnotte che si erano salvate da quella sfortunata  infornata presentavano delle piccole crepe nella scorza: lateralmente o sulla parte superiore. Da tali crepe in effetti era fuoriuscito parte del vapore acqueo presente, in fase di cottura, all’interno della pagnotta… evitando che la stessa facesse boom come le sue consorelle.
Da tale esperienza il fornaio capì due cose importantissime: 1) per salvare la pagnotta, ovvero per toglierla integra dal forno dopo la giusta cottura, bisognava con un coltellino intaccarne la superfice; 2) per ottenere, volutamente e non per caso, ciò cui in seguito avrebbe chiamato semplicemente fresa, era necessario togliere la pagnotta a meta cottura dal forno, dividerla in due e rimetterla in forno per completare la cottura stessa.
Non solo: per quanto riguarda la fresa… meglio se la pagnotta veniva infornata leggermente schiacciata se non appiattita.
E se alla pagnotta appiattita si faceva anche un bel buco al centro? … a questo punto a tale rivoluzionario prodotto alimentare bastava semplicemente dare un nome. E che fosse un nome che ricordasse magari lo storico giorno in cui la prima pagnotta nella prima infornata finì in briciole grazie ad un non previsto… provvidenziale botto.
Se a scoprire la fresa (dire “inventarla” sarebbe una bestemmia in quanto a “crearla” può essere stata solo una... caritatevole sbadata divinità) sono stati quasi certamente i Greci o gli Egiziani... a darle il nome sono stati altrettanto quasi certamente gli antichi romani.
In latino, ma in parte l’ho già detto, troviamo il termine “fresus” in quanto participio passato del verbo “frendeo” ovvero “frantumare, sbriciolare” ma anche “fresa” in quanto “ferita, taglio”. E cos’è la fresa se non un prodotto ottenuto da un taglio e spesso sbriciolato o comunque mangiato a pezzi?
(continua).
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... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace.

lunedì 28 luglio 2014

… si fa presto a dire fresa. (3)

... il giorno della "SAGRA DELLA FRESA SANTUFILISE" (ovvero il 22 Agosto 2014) si avvicina. Con ospiti di riguardo e con tanta voglia di stare assieme. E' quasi completato anche il tavolo della presidenza del convegno. Tra gli altri ci saranno la dottoressa Rosanna Labonia, lo chef Mario Molinaro, lo scrittore Anton Francesco Milicia e l'artista Pietro De Seta. E ci saremo anche noi dell'Associazione culturale "Universitas Sancti Felicis" di San Fili.
Tu... sarai dei nostri?
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La fresa? … se dovessimo definirla con un concetto legato al latte immesso in commercio diremmo sicurante “pane parzialmente scremato (deumidificato o essiccato) a lunga conservazione”.
Inutile dire però che, così come il latte succitato, anche la fresa, in particolare la classica calabrese (ovvero quella ottenuta con farina di grano duro tipo “O” o rimacinata, sale, lievito madre e acqua delle nostre - una volta - stupende sorgive naturali), è decisamente molto di più. In alcuni casi è… vera e propria poesia.
Vi è mai capitato di passare nei pressi di un forno, magari un forno a legna, dove in quel particolare momento venivano sfornate delle fragranti frese? … credetemi: a me che è capitato preferisco non farmi ritornare in mente quel delizioso profumo che invadeva le mie sensibili narici invitando vigliaccamente tutto il mio essere ad entrare nell’antro del dio fornaio e rubargli sull’istante un prezioso pezzo del suo tesoro.
Quella fresa l’avrei mangiata sull’istante, continuando la mia passeggiata, senza neanche l’accortezza d’andarla a bagnare e/o a condire con gli altrettanto buoni e profumati prodotti della nostra terra: l’olio d’oliva, l’origano, l’aceto ed una bella spolverata di trito d’aglio. Quest’ultimo, ovviamente, a chi piace. E a me… piace!
… ecco, come volevasi dimostrare: drogato da questi ricordi me la sento già scricchiolare saporitamente sotto i denti, l’ancor tiepida fresa appena uscita dal forno. Me la sento sciogliersi nell’abbondante saliva che hanno messo in moto le mie traditrici assassine papille gustative. Esco, vado a farmi una dose.
E invece no, non esco perché ho intenzione di terminare al più presto questo pezzo: soffro in silenzio.
La fresa nasce, come variante del pane, proprio per essere un prodotto alimentare a lunga conservazione e nel Meridione d’Italia era uno dei principali alimenti di scorta per le navi e quindi utilissimo per i naviganti che dovevano affrontare lunghi viaggi e quindi erano nell’impossibilità di garantirsi prodotti farinacei freschi o pasti alternativi.
La fresa, opportunamente conservata - magari ‘mpicata a na canna - può benissimo essere consumata dopo mesi dalla sua produzione. E’ difficile che vada subito, ovvero nel giro di poche settimane, a male.
Storicamente la troviamo in grandi quantità stivata nelle navi che dalla Puglia e da qualche altra regione Meridionale imbarcavano i Crociati diretti in Terrasanta fiduciosi d’andare a liberare il Santo Sepolcro dagli infedeli mussulmani o quantomeno, perdendo nell’impresa la propria vita, di finire dritti dritti nelle amorevoli braccia del Signore a godere a priori dei frutti del Paradiso. Siamo agli inizi del Secondo Millennio (tra il 1000 ed il 1300 d.C.).
Non ci crederete ma proprio per questo, in particolare nella regione italiana famosa per le orecchiette, o per i mangialumache, la fresa, o frisella (meglio friseddhra),  è anche conosciuta con il nome di “pane dei Crociati”.
La fresa dopotutto era, e resta, un alimento nutriente e per renderlo immediatamente commestibile anche ad un soggetto magari privo di denti… basta immergerla in un po’ d’acqua. E se l’acqua è anche acqua di mare nell’azione si evita anche il gravoso compito di condirla con del sale.
Dai colonizzatori greci, fondatori della Magna Grecia, ai Crociati per finire ai nostri padri: contadini e non. Ossia dal Seicento/Quattrocento avanti Cristo fino a poco prima dei nostri giorni: tutto è cambiato sulle nostre tavole e nei nostri ricordi tranne - tra i suoi alti ed i suoi bassi - la presenza quasi costante della fresa sulle nostre tavole. Ed oggi più che mai la classica fresa sembra riuscire a guadagnare sempre più notevoli spazi negli scaffali dei negozi di generi alimentari.
(continua).
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... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace.

domenica 27 luglio 2014

… si fa presto a dire fresa. (2)

... il giorno della "SAGRA DELLA FRESA SANTUFILISE" (ovvero il 22 Agosto 2014) si avvicina. Con ospiti di riguardo e con tanta voglia di stare assieme. E' quasi completato anche il tavolo della presidenza del convegno. Tra gli altri ci saranno la dottoressa Rosanna Labonia, lo chef Mario Molinaro, lo scrittore Anton Francesco Milicia e l'artista Pietro De Seta. E ci saremo anche noi dell'Associazione culturale "Universitas Sancti Felicis" di San Fili.
Tu... sarai dei nostri?
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Il termine “fresa” (nel significato alimentare), con alcune piccole varianti, noi meridionale sicuramente l’abbiamo ereditato dai nostri padri greci. Ovviamente mi riferisco a quanti hanno dato vita alla cosiddetta “Magna Grecia” (tra il VI ed il V secolo avanti Cristo), ovvero a quel particolare periodo storico dove noi Meridionali eravamo la culla culturale del mondo conosciuto, Roma emetteva i suoi primi vagiti e al Nord Italia ancora neanche si sapeva cosa fossero gli acculturati, per i pochi indigeni presenti in loco, barbari.
... è San Fili, checché se ne dica, ha fatto parte a pieno titolo dell’antica, purtroppo dimenticata, Grande Grecia.
Troviamo il termine fresa sia in Sardegna che, seppure con una piccola differenza (forse più che legittima), in Puglia, in Campania ed in Sicilia. Nello Stato di Pulcinella  c’imbattiamo nella fresella (o frisella) mentre nella regione nota per le orecchiette ed in quella per i cannoli infatti la parola fresa diventa frisa... termine decisamente più vicino al termine frissa (tipo di bis-cotto alias cotto due volte) ancora in uso in Grecia.
Se Luigi Accattatis nel suo “Vocabolario del Dialetto Calabrese” ci suggerisce, ma non ce ne da’ certezza, che il termine fresa potrebbe derivare dal termine frissa presente in Grecia Vincenzo Dorsa, un altro autore calabrese, ipotizza una derivazione dello stesso termine dalla lingua latina. I Romani utilizzavano infatti i verbi frio (con significato di “sminuzzare, stritolare, sfarinare”) e frendeo ( con significato di “frangere, consumare”) da cui, in questo secondo caso, deriverebbe la parola fressus.
Onestamente, ed anche più giustamente rileggendo quel poco di storia che si ha in merito alla presenza della fresa nei paesi del Mediterraneo - quasi esclusivamente le coste colonizzate dall’antica Grecia e non i territori ricadenti nel vastissimo Impero Romano - , personalmente tendo per l’ipotesi lanciata da Luigi Accattatis: la fresa è una parola di origine greca. E noi calabresi siamo tra i legittimi eredi del patrimonio culturale lasciato all’Umanità dagli abitanti della mitica Magna Grecia.
La fresa è un’alternativa al pane, a volte l’unico alimento per tantissime persone che ci hanno preceduto su questa valle di lacrime (... o di stupidità umana. Perché se l’uomo fosse un po’ più intelligente e moralmente onesto tantissime lacrime potrebbe anche evitarsele), tra l’altro a lunghissima conservazione. Inutile precisare che non è o quantomeno non era realizzata solo con farina di grano. A volte tale tipo di farina infatti neanche lo vedeva come parte degli ingredienti usati per la sua realizzazione. Non raramente, in altri tempi, al posto della farina di grano venivano utilizzate farine di cereali e farinacei di minor valore commerciale: mais, lupini, orzo e via dicendo. La stessa farina integrale non era una prelibatezza per i palati ed una necessità corporale come ai giorni nostri. Oggi, credetemi sulla parola diversamente andate a controllare di persona, paghiamo più il pane integrale - o le frese, nel nostro caso - che non il pane bianco.
A proposito, dicevo che il termine fresa è utilizzato anche in Sardegna, terra non proprio ricadente nei territori conosciuti come appartenenti alla Magna Grecia. Eppure un altro nome dato al buonissimo pane carasau, oltre che “carta da musica”, è quello di “pane a fresa” ... e vi assicuro che c’è un più che valido motivo per chiamare “pane a fresa” il pane carasau.
Sapete come si fa il pane carasau? ... no? ... ve lo dico io!
Il pane carasau, così come la fresa, subisce una prima cottura, una divisione in due parti ed una seconda cottura. Da non credere: il procedimento nell’uno e nell’altro caso è identico... ovviamente con la diversità dei tempi previsti da tali prodotti. Ed anche il pane carasau, così come la fresa, nasce per garantire una lunga conservazione dello stesso.
Il sardo perché necessario ai pastori per lungo tempo lontani dalle proprie abitazioni e dalle proprie famiglie la greca perché ottima a garantire un alimento sempre a disposizione per i lunghi viaggi dei navigatori ellenici.
La fresa tra l’altro la ritroveremo, almeno per quanto riguarda il Meridione d’Italia, più volte legata a grandi spostamenti in nave che hanno fatto buona parte della storia del Mediterraneo.
Da non credere: siamo al tempo delle Crociate.
(continua).
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... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace.

sabato 26 luglio 2014

… si fa presto a dire fresa.

... il giorno della "SAGRA DELLA FRESA SANTUFILISE" (ovvero il 22 Agosto 2014) si avvicina. Con ospiti di riguardo e con tanta voglia di stare assieme. E' quasi completato anche il tavolo della presidenza del convegno. Tra gli altri ci saranno la dottoressa Rosanna Labonia, lo chef Mario Molinaro, lo scrittore Anton Francesco Milicia e l'artista Pietro De Seta. E ci saremo anche noi dell'Associazione culturale "Universitas Sancti Felicis" di San Fili.
Tu... sarai dei nostri?
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Vi siete mai chiesti cos’è la fresa? … da buongustai sanfilesi, per non dire meridionali, sicuramente no! … sicuramente… l’avete solo mangiata. Molti di voi hanno capito subito ch’era buona: era buona col tutto ed era buona, in alcuni casi, anche col niente. Dopotutto, appurato ch’era buona, perché chiedersi anche cos’era? … ovvero da cosa derivasse il suo nome e quale ne fosse la sua preparazione?
Non solo: perché era utilissima alle generazioni che ci hanno preceduto, quale ne è stato il motivo della sua “passata fortuna” e perché per un buon tempo, parliamo degli ultimi tre o quattro decenni, anche da noi è caduta in un colpevole oblio e come mai oggi sembra ritornare in auge anche se in una nuova e più accattivante veste?
Ok, l’ammetto: chi scrive se l’è chiesto solo in questi ultimi giorni. Quando, cioè, i membri dell’Associazione culturale “Universitas Sancti Felicis” di San Fili hanno deciso di organizzare la prima edizione della “Sagra della Fresa Santufilise” e quando qualcuno, tramite il social-network Facebook, invitato a partecipare a tale manifestazione, ha avuto l’ardire, quasi una bestemmia, di scrivere e soprattutto di chiedere… “Va bene, ci verrò ma… cos’è la fresa santufilise?”
La risposta che diedi a questo mio contatto Facebook fu dei più semplici ma sicuramente non dei più illuminati: “... nulla di particolare: è la tipica fresa variamente condita (dalla classica con olio, aglio, origano, sale e aceto alla più ricercata condita con 'nduja o rosamarina). E' un modo come un altro per stare una serata... assieme.”
Il giorno successivo ho provato anch’io a pormi la stessa domanda: “Cos’è la fresa santufilise?” ovvero “la fresa calabrese?” o quantomeno almeno... “la fresa?”
Nulla di più facile, giunto a questo punto, che aprire il primo dizionario d’italiano - magari un dizionario online - e cercare il termine “fresa”. Le risposte furono tutt’altro che incoraggianti e tutt’altro che attinenti al concetto che mi sono fatto finora di questo ben di Dio: in italiano la parola fresa (legata a qualcosa di alimentare) non esiste.
Persino i principali dizionari etimologici disconoscono tale parola.
La parola “fresa”, col significato in cui la cercavo io, è un termine usato nel parlare comune per segnalare qualcosa che derivi dal pane o quantomeno da qualche impasto di farina lievito acqua e sale, legato quasi esclusivamente al Meridione d’Italia ed in particolare alle regioni Calabria, Puglia e... Sardegna.
Non, come vorrebbero propinarmelo i dizionari nordisti, come, al massimo, un diminutivo dei mezzi meccanici chiamati fresatrice. Oltretutto in questo caso il termine deriva dalla parola francese “fraise” ovvero fragola. Quindi? ... niente a che fare con una bontà quale la “fresa” che noi calabresi abbiamo ereditato presumibilmente dai nostri padri colonizzatori greci. Ritorna anche in questo caso, nel nostro DNA di meridionali, l’onnipresente passato della Magna Grecia.
Un po’ di più fortuna l’ho avuta con alcuni siti legati all’arte culinaria che sembrano ben conoscere la cosiddetta “fresa calabrese”, segno che tale piatto tipico inizia a crearsi un proprio giusto spazio sulla tavola dei buongustai, nonché con la sempiterna Wikipedia, l’enciclopedia online “fai da te” e col dizionario calabrese di Luigi Accattatis.
Nel “Vocabolario del Dialetto Calabrese” (concluso nel 1895) di Luigi Accattatis al temine “fresa” troviamo: “s. f. Focaccia, Schiacciata di pasta di farina, divisa circolarmente, in due parti e cotta nel forno, o sulla brace. ‘Na frisa de lupini, de granza’. Il gr. mod. ha frissa, specie di biscotto.”
Da tale definizione apprendiamo almeno quatto cose: 1) almeno nel 1895 la fresa era conosciutissima a Cosenza e nei dintorni... quindi pure a San Fil; 2) era ottenuta con una schiacciata di farina divisa in due e cotta nel forno o sulla brace; 3) non si otteneva solo con la farina di grano; 4) nella lingua greca era presente il termine frissa e questo termine segnala un tipo di biscotto ovvero un qualcosa (bis-cotto) cotto due volte.
... finalmente, mi sono detto, un po’ di luce alla fine del tunnel.
Dopotutto che la “fresa” esistesse ne ero più che certo... almeno per il fatto d’averne mangiate a centinaia nel mezzo secolo di vita che da qualche anno a questa parte mi sono lasciato alle spalle: ne ho mangiato con il semplice condimento di sale, olio, aglio, aceto e origano e ne ho mangiato pure con una bella spalmata di rosamarina o con pomodori tagliati a piccoli cubetti e opportunamente conditi.
Ma non sarà in questo paragrafo, né spero essere io, che vi dirò i mille ed uno metodi per condire la... fresa santufilise o quantomeno calabrese.
(continua).
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... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace.

sabato 19 luglio 2014

Vespe cinesi e vespe italiane: le seconde a San Fili le amavamo già. (4)

Un’immagine proiettata su un pezzo di muro alle spalle (non ricordo più se alla sinistra) della dottoressa Vincenzina Scalzo nel corso di quel convegno e nel corso del suo stupendo intervento, dicevo, mi riportò magicamente alla mia infanzia ed ad un altrettanto stupendo “dejà vu”: quella pallina l’ho già vista... e forse ne conosco anche il sapore. Quello che non sapevo è che tale pallina fosse un simbolo di nuova (non so quanto disastrosa) vita e di tant’altro.
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Siamo agli inizi degli anni Settanta del XX secolo... e, almeno nei miei scritti e tra i miei ricordi, Dio volendo ci resteremo ancora tantissimo. Siamo sicuramente nel mese di ottobre o al massimo di novembre: la raccolta delle castagne nei dintorni del nostro amato/odiato paesino era al suo culmine.
Da “u chijan’e Miliddru” era facile raggiungere l’agognata meta: facile ed accattivante per la galoppante, non sempre salubre, fantasia d’un fanciullo della mia età. Nel mio mondo, all’epoca, c’era un po’ di tutto... sui Cozzi: streghe, serpenti enormi (... u tiliu?), lupi mannari, vampiri e chi più ne ha più ne metta.
Potevano sbucarti intorno dappertutto ed in qualsiasi momento.
Potevano ucciderti o semplicemente rapirti senza fartene neanche accorgere.
Raggiungevo “‘e castagne de ‘Ntonett’e Castellanu”, ovviamente da “u chijan’e Miliddru” seguendo uno stretto sentiero al limitare inferiore dello stesso... in un quasi spettrale gioco di luci ed ombre prodotto dall’entrare e dall’uscire quasi repentino d’alcuni gruppi di “cippate di castagno da taglio”.
Era quella la “partita” del prezioso frutto che i miei genitori stavano già raccogliendo fin dalle prime ore di quella mattina.
Inutile dire che raccolto il mio bel panaro (N.d’a.: a proposito, sapete che in italiano non esiste questo termine? ... che sacrilegio!) di castagne, scelta una per una, svuotavo lo stesso dentro un sacco di juta e, col panaro vuoto, chiesta ed ottenuta l’autorizzazione di mia madre, mi recavo in una zona sovrastante la partita di castagne che stavano raccogliendo... in cerca di funghi: gaddrinazzi, siddri e lattarachi.
Quella zona di queste squisitezze ne era particolarmente prodiga. Non chiedetemi se lo sia tutt’ora o, cosa ancor più scioccante, se esista tutt’ora… quella zona.
Cadde quasi certamente in uno di quei fantastici giorni... il giorno in cui m’imbattei in quelle che ho definito, nel titolo di quest’articolo ed anche nel motivo (tema portante) per cui l’ho scritto, nelle vespe italiani ovvero nella preesistente riposta italiana alle cosiddette vespe cinesi (alias “cinipide galligeno del castagno”), ovvero a quei dannosi insetti maldestramente importati dai classici speculatori da quattro soldi che abbiamo nel nostro Bel Paese e che tanto danno hanno sempre cagionato e continuano imperterriti a cagionare ai nostri bei castagneti.
E la vespa italiana alternativa alla vespa cinese? ... sottolineiamo che si tratta non dell’insetto che comunemente chiamiamo “vespa” in questo caso ma... del “cinipide galligeno della quercia”.
Quest’ultimo, gridiamolo ai quattro venti, chi tra di noi ha vissuto e sempre più raramente la “stupenda natura del nostro altrettanto stupendo policromatico - stagione permettendo - territorio comunale” pur non sapendolo... lo amava già.
In poche parole l’insetto “indigeno” (il succitato “cinipide galligeno della quercia”) delle nostre zone pur essendo similare per la tecnica all’insetto cinese il proprio attacco alle gemme degli alberi non lo fa alle piante del castagno ma alle piante della quercia. Il tutto, però, in modo non dannoso - quasi non invasivo - in quanto, col passare dei secoli, di fatti ha trovato un suo giusto equilibrio con l’ambiente circostante.
Feci conoscenza del “cinipide galligeno della quercia” in una di quelle lontane giornate autunnali d’inizio anni Settanta... ma l’avrei saputo circa una quarantina d’anni dopo d’aver fatto quella straordinaria conoscenza.
Quel giorno guardando ad un ramo di una quercia relativamente giovane (dopotutto la manica di un decenne qual io ero riusciva benissimo a toccarlo) notai, attaccata in un punto dello stesso, una strana pallina di legno. Un qualcosa tra l’altro che ero sicuro di non aver mai visto prima.
Poco più in la, sempre sullo stesso alberello, un altro ramo con un’altra pallina simile alla prima e via dicendo. Nel men che non si dica in una tasca dei miei pantaloni si ritrovarono non meno si cinque o sei di quelle strane palline.
Inutile dire che una delle stesse, ancor prima di far vedere il mio nuovo tesoro ai miei genitori, era già finita sotto i miei denti: poteva anche essere un ottimo frutto e nel dubbio... meglio assaggiare.
Non era un frutto... era solo legno: uno stupendo scherzo della natura ma solo e semplice legno.
Quelle palline, che ci crediate o no, erano uno dei frutti (... cancri delle gemme?) nati e sviluppatisi grazie all’intervento parassitario del “cinipide galligeno della quercia”.
Le vespe italiane, non quelle cinesi, noi a San Fili... le amavamo già!
(continua).
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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace!

giovedì 10 luglio 2014

PROGETTO ESTATE SAN FILI EDIZIONE 2014... il programma.

E’ ormai ufficiale il programma del PROGETTO ESTATE SAN FILI edizione 2014. Un calderone di iniziative che - malgrado le ristrettezze economiche del momento - l’Amministrazione comunale del piccolo ed accogliente borgo alla periferia della Grande Area Urbana della città di Cosenza intende offrire ai cittadini sanfilesi nel corso dei mesi di Luglio ed Agosto 2014.
A tal fine ha chiesto ovviamente la collaborazione attiva (anche sul fronte della vil pecunia) alle Associazione, agli operatori commerciali e ad Enti attivi sul territorio comunale.
Inutile dire che il tutto mira a convincere ai cittadini dei comuni attigui che a San fili si può vivere e soprattutto si può vivere decisamente bene. Basta un po’ di... zucchero (così come si ascoltava tanti e tanti anni addietro nei versi di una nota canzone).
Chi scrive (alias Pietro Perri) assieme agli iscritti all’Associazione Culturale “Universitas Sancti Felicis” di San Fili (Associazione di cui mi pregio essere il presidente in carica) non ce la siamo sentiti di venir meno a tale “appuntamento col futuro della nostra comunità”. E l’abbiamo fatto con l’organizzare, almeno ci proviamo, la prima SAGRA DELLA FRESINA SANTUFILISE (un calderone di iniziative nel calderone delle iniziative del Progetto Estate San Fili 2014: convegno,  proiezione vecchie foto, musica tradizionale e tantissime frese variamente condite accompagnate da un buon bicchiere di vino bagnato nella gassosa).
Vi va di collaborare? ... parliamone.
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DATA
MANIFESTAZIONE
LUOGO
16-17-18 Luglio
ore 19,30
VIII Saggio – Spettacolo dell'Associazione Accademia "Caccini"
Teatro Comunale di San Fili
20 Luglio
ore 21,00
Spettacolo musicale "I soleado" (Festa Madonna del Carmelo)
Piazza San Giovanni
01 Agosto
ore 18,00
Cerimonia di premiazione II edizione del Concorso Letterario Nazionale Le Notti delle Magare.
Teatro Comunale di San Fili
01 Agosto
ore 20,30
Notte Bianca: La Notte delle Magare con la sagra culinaria le due monete insieme a spettacoli musicali, cartomanti, cantastorie, artisti di strada, ecc.
Corso XX Settembre
03 Agosto
ore 21,00
Cerimonia di Premiazione del torneo "Calcetto" con spettacolo musicale
Piazza Mario Nigro (ex piazza caserma)
07 Agosto
ore 21,00
Spettacolo Danza… con le stelle a cura della Lega Danza Calabria
Piazza Giuseppe Miniaci (frazione Bucita)
08 Agosto
ore 21,00
Spettacolo musicale “Franco e Bruno”
Piazza Madonnina (futura piazza don Luigi Magnelli)
09 Agosto
ore 21,00
Frutta in festa a cura del CIRFID
ex scuola elementare della frazione Bucita
10 Agosto
ore 21,00
Spettacolo musicale "Pier e i retrò"
Piazza Unità d'Italia (contrada Frassino)
12 Agosto
ore 20,30
Sagra del pesce e Spettacolo musicale
Piazza Mario Nigro (ex piazza caserma)
13 Agosto
ore 21,00
Spettacolo musicale "Caruso live e la lurida band"
Piazza Mario Nigro (ex piazza caserma)
18 Agosto  
ore 21,00
Spettacolo musicale con "I bandiera gialla"
Piazza Giuseppe Miniaci (frazione Bucita)
21 Agosto
ore 21,00
Visita centro storico San Fili dei partecipanti al Biennal World Conference of the Philosophers of Education - Univ. Calabria
Centro storico di San Fili

Venerdì 22 Agosto
dalle ore 17.30 alle ore 24,00
Prima SAGRA DELLA FRESINA SANTUFILISE, a cura dell'associazione Universitas Sancti Felicis (convegno, proiezione vecchie foto, musica tradizionale e tantissime frese variamente condite accompagnate da un buon bicchiere di vino bagnato nella gassosa)
Piazza Mario Nigro (ex piazza caserma)
24 Agosto
ore 17.00
Fiera di Santa Maria degli angeli: giochi popolari, a seguire Gigi Calabria show
Corso XX Settembre - Piazza san Giovanni
07 settembre
ore 21.00
Spettacolo musicale "Elisir" (prologo festa dell’Addolorata - 8 settembre)
P.zza Giuseppe Miniaci (frazione Bucita)
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... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace!

martedì 8 luglio 2014

E’ in arrivo la prima “Sagra della fresa santufilise”.

Contadino sanfilese degli anni
Sessanta del XX secolo intento
ad infornare il pane... e magari anche
qualche saporitissima fresa.  
Foto collezione Ciccio Cirillo.
Si terrà, salvo imprevisti, venerdì 22 Agosto prossimo con inizio alle ore 17 e 30 - all’interno della sala convegni della Biblioteca comunale “G. Iusi” e nella piazzetta Mario Nigro di San Fili - la prima edizione della “Sagra della fresa santufilise”.
Tale manifestazione, organizzata dalla nostra Associazione Culturale nell’ambito del cartellone di iniziative previste nel Progetto Estate San Fili 2014, riprende per grandi linee le varie edizioni della ormai archiviata “Festa della majatica santufilise”.
Il cliché è identico a quello della “Festa della majatica santufilise”: un convegno su storia delle tradizioni locali con un occhio di riguardo alla sana alimentazione dei nostri avi, un assaggio (quest’anno decisamente sostanzioso) di frese diversamente condite - dalla classica “aglio, olio, origano ed aceto” alle particolari con melanzane “ara scapice” e piccantissima rosamarina. Molte frese saranno distribuite gratuitamente, altrettante in cambio di un piccolo contributo che servirà in parte a rientrare nelle spese dell’organizzazione dell’intera serata.
Non appena concluso il convegno, cui parteciperanno oltre alle autorità locali anche esperti in alimentazione e studiosi delle tradizioni locali, ci si recherà tutti allo stand all’uopo predisposto per la distribuzione gratuita delle frese.
Contemporaneamente un gruppo musicale folcloristico presente nella piazza inizierà ad allietare la serata con tutta una serie di tarantelle e strimpellate varie che ci riporteranno alla musica ed al linguaggio tanto caro ai nostri nonni.
Inutile dire che saranno distribuiti, anche e soprattutto per accompagnare le saporitissime frese, tantissimi bicchieri di vino locale... opportunamente bagnato con dell’ottima gassosa cosentina.
Si sta pensando anche di approntare, per la sera stessa, una proiezione di foto della nostra comunità scattate tra gli anni Quaranta e Settanta del secolo passato.
Inutile dire che tale sagra è volutamente organizzata a ridosso dell’annuale appuntamento con la Fiera di santa Maria degli angeli anche per un opportuno rilancio culturale della stessa.
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... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace!