Per chi avesse perso le
prime 5 (o qualcuna delle prime cinque) puntate di questo racconto… ricordo che
siamo in un sabato degli inizi di Marzo 2013, che da poco si sono registrate
due frane sul lato coste del nostro paesino (il lato che si affaccia sul torrente
Emoli) ed io sto facendo una bella passeggiata lungo… u jum’e Santu Fili… nel tratto compreso tra la
sorgente di Palazia e il ponte Crispini.
* *
*
Quando
si è all’altezza del ponte di Crispini (o di crispino?) a San Fili, dopo aver
ammirato una tra le tre stupende opere muraria che collegano - nel territorio
comunale - le due sponde del torrente Emoli, non possiamo fare a meno di
chiederci: è adesso che facciamo?
Mi
spiego: siccome (nell’occasione di cui ho fatto ed in parte continuo a fare la
cronistoria) già veniamo dalla fontana di Palazia dopo essere scesi da piazza
san Giovanni e dopo aver percorso il tratto che da tale fontana ci ha portato
in questo stupendo piccolo spiazzo e siccome già siamo risaliti all’altezza
della superstrada (dove s’imbocca il bivio per Nogiano) e da qui siamo
ridiscesi nel punto in cui ci troviamo adesso… che via vogliamo inforcare
adesso per ritornare nel centro abitato di San Fili?
Corso
XX Settembre ci attende ormai da un paio d’ore - qualche minuto per scambiare
qualche parola con uno o due amici non guasta mai - e visto l’ora che segna il
nostro orologio… anche la tavola imbandita di casa ci attende impaziente.
Eppure…
la tentazione è forte. Potrei scendere ulteriormente lungo il percorso del
torrente - camminando sulla sponda destra dello stesso - e raggiungere i piedi
del ponte di “santa Venere” (o “santa Vennera”) e da lì salire verso il
fabbricato diroccato conosciuto dai nostri anziani come “a turr’e Cucunatu”
(in tale tragitto oltretutto potrei dare una breve occhiata all’edificio che
ospita la centrale idroelettrica del paese… ed accertarmi che, malgrado i soldi
pubblici investiti nella stessa, sia tutt’ora in funzione. Potrei risalire il
torrente Emoli e raggiungere nuovamente piazza san Giovanni dal punto in cui
sgorga la sorgente di Palazia o proseguire oltre fino al ponte delle jumiceddre
e da lì risalire verso “u curc’e Catalanu”… e quindi ritrovarmi d’incanto
su piazza san Giovanni (per la serie: tutte le strade di San Fili portano
davanti al monumento ai caduti opera dello scultore toscano Leone Tommasi da
Pietrasanta).
Potrei
risalire la stupenda scalinata - o ciò che ne resta - in accattivante pietra di
fiume ed antiestetico cemento che mi porta dritto dritto nella zona delle
Volette al di sopra dell’imbocco della galleria ferroviaria… o di ciò che la
stessa fu e che mai sarà più se non nei cuori dei pochi che ancora conservano
qualche lontano ricordo della littorina che dalla stazioncina San Fili ci
portava alla stazione di Cosenza o a quella di Paola.
Scelgo
quest’ultima ipotesi che, dopotutto, non fa altro che portare a termine il mio
progetto iniziale: una bella passeggiata che nel titolo includesse la fontana
di Palazia e il tesoro de “u Canalicchiju”.
E
così eccomi giunto all’inizio dell’ultima fatica (questa sì che è una vera e
bella fatica) della stupenda passeggiata: intraprendere la salita che da una
serie di scalini in cemento e pietra di fiume immediatamente seguita da un
viottolo a più curve al cui intersecarsi con la strada che scendendo da piazza
Rinacchio porta, in poco tempo e quasi sempre in discesa, nella zona conosciuta
come contrada Profico.
Inutile
contare i gradini: li avrò contati almeno una cinquantina di volte quand’ero
piccolo e tempo di fare una diecina di passi oltre questa scalinata… miracolo…
già dimenticato il magico numero. Un’ultima occhiata al ponte di Crispini (… o
di crispino che dir si voglia) ed al mulino ad acqua di Ottorino Perri (che tra
l’altro ospitò anche una delle storiche centrali idroelettriche del nostro
amato/odiato paesino) e… via, un passo dopo l’altro, eccomi ritrovarmi al punto
in cui i miei occhi registrano sulla sinistra uno spettacolare strapiombo in
cui la fanno da padrone delle affascinanti quasi secolari piante di quercia e
sulla destra il casolare della proprietà di campagna che fu dell’insegnante
Raffaele Perri… dalla fine degli anni Sessanta in poi.
Una
proprietà, questa, che ricordo con piacere e che segnò anche parte della mia vita
avendo mio padre per vari anni (dal 1970 in poi) coltivato quel prodigo appezzamento
di terra.
Quasi
un giardino, a quei tempi. Oggi?... meglio non parlarne.
Eppure
a fermarmi di botto non furono i ricordi di un tempo che ormai da anni mi sono
lasciato alle spalle. A fermarmi di botto fu un imprevisto e strano movimento
che notai qualche passo più avanti, nei pressi di un foro nel muro in pietra
che mi trovavo sulla sinistra a delimitazione, nella parte inferiore del
succitato burrone.
… nu
cursune. Non era nero come me lo ricordavo ma era quasi grigio. Segno,
secondo la mia ignoranza, che aveva appena fatto la muta primaverile (ovvero
aveva cambiato pelle).
I cursuni,
lo so’ benissimo, non sono pericolosi: non sono velenosi e vivono nella
costante paura d’imbattersi nell’uomo. Se proprio si subisce un morso da tali
animali nostrani l’unica cosa consigliabile (nel dubbio) è quella di fare una
bella antitetanica… giusto per dormire su due guanciali.
Eppure… sono decisamente brutti i… cursuni! … ed io non li digerisco tanto: chissà, magari qualcuno di loro potrebbe illudersi di essere una serpe velenosa ed attaccare. Ed io in quel momento in mano avevo solo la macchina fotografica… neanche un bastone per difendermi.
Quando il mio attuale compagno d’avventura s’accorse della mia presenza non ci pensò due volte a rintanarsi nel suo pertugio all’interno del muro, quello stesso pertugio da cui era appena uscito per godersi i primi raggi del sole pre-primaverile.
Eppure… sono decisamente brutti i… cursuni! … ed io non li digerisco tanto: chissà, magari qualcuno di loro potrebbe illudersi di essere una serpe velenosa ed attaccare. Ed io in quel momento in mano avevo solo la macchina fotografica… neanche un bastone per difendermi.
Quando il mio attuale compagno d’avventura s’accorse della mia presenza non ci pensò due volte a rintanarsi nel suo pertugio all’interno del muro, quello stesso pertugio da cui era appena uscito per godersi i primi raggi del sole pre-primaverile.
Constatato
che la via era ormai libera, senza pensarci due volte (ma soprattutto con passo
attento e veloce) ripresi il mio cammino verso l’agognata meta.
All’altro
lato del casolare che ormai, sempre sulla destra (strano a dirsi ma non si era
spostato), mi ero lasciato alle spalle (povere le mie spalle: quante cose nella
vita mi ci sono lasciato senza pensarci su due volte) c’era il noce nato da una
noce che avevo piantato io quando avevo appena una diecina d’anni.
Nella
mia vita ho piantato almeno due alberi di noce: ero piccolo, sono cresciuto… ed
ancora sono vivo.
Dico
questo perché nella tradizione popolare è sconsigliato piantare alberi di noce.
Si dice, infatti, che quando il tronco del noce raggiunge la circonferenza del
collo di chi l’ha piantato… quest’ultimo ha compiuto il suo percorso naturale
in questa vita… in questo mondo spesso, ma non sempre, fatto di lacrime.
Altri
cinque minuti ed eccomi finalmente giunto sul piano della strada che, come
detto, collega contrada Profico (in parte in territorio di Rende ed in parte in
territorio di San Fili) e piazza Rinacchio. Eccomi giunto… ai piedi de ‘a
scisa du Canalicchiu.
Mi
trovo adesso poco al di qua dell’imbocco della galleria ferroviaria ed
esattamente davanti al foro dov’è sepolto il magico recipiente pieno d’oro
tanto caro alle passate generazioni di nostri compaesani: a quadara chjina d’oru
di santufilisi.
(continua).
* * *
… un caro abbraccio a tutti
dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
… /pace!
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