Agli inizi del mese di marzo
di quest’anno, volendo vedere di persona (ovvero con i miei occhi) le frane (quella
sotto il palazzo Gentile e quella sotto piazza San Giovanni… lato fiume) che ha
subito San Fili nei mesi immediatamente precedenti, decisi di fare (in una
quasi bella mattina di un quasi bel giorno di sabato) una passeggiata lungo un
tratto (decisamente classico) del nostro, tanto obliato quanto stupendo,
torrente Emoli.
Per quanto riguarda il
discorso frana (… frane?) e franati a San Fili… ne ho già scritto in modo
(credo) più che esauriente in un “pensiero” postato in questo stesso blog nell’ormai
lontano 10 marzo scorso, ciò di cui non ho parlato, in quell’occasione, è degli
stupendi poetici scorci in cui mi sono imbattuto in quella strana, non
programmata e quindi imprevista, avventura.
Già, proprio perché di una
bella - solitaria - avventura (con tanto
di tutto nel passato) si è trattato. Una bella avventura in cui ho potuto
ricordare alcuni spazzi della mia fanciullezza, della mia pubertà ed anche
della mia maturità… quest’ultima ancora non completata.
Quel giorno… quello stupendo
giorno… armi in pugno (ovvero macchina fotografica all’interno del borsello che
portavo a tracolla, giunto in piazza san Giovanni e sinceratomi che nessuno mi
vedesse o quantomeno mi tenesse per conto (sapevo benissimo che se avessi detto
loro ciò che stavo per fare come loro solito mi avrebbero dato del partito di
testa… se non me l’avessero detto… sicuramente l’avrebbero pensato… bontà loro)…
imboccai la scalinata che, appunto da piazza san Giovanni, porta dritta dritta alla fontana di Palazia… la
mitica fontana che in altri tempi (… primi del Novecento?) garantiva due uscite
(… scusate ma in questo momento non mi viene la parola! … “ugelli” proprio non
ci sta!): la prima con acqua calda o quantomeno tiepida e la seconda con acqua
fresca. La prima per lavare i panni e la seconda per dissetarsi. Dopotutto…
siamo nei pressi del mulino delle fate ed in quella zona tutto è possibile…
tutto era possibile.
La scalinata, per chi ancora
non l’avesse capito, è quella posta proprio al di sotto del calvario (… ovvero “da
Cruce”… cos’ come in altri tempi veniva indicata anche la zona di piazza san
Giovanni): parte ancora in pietra di fiume, parte in antiestetico cemento e
parte in terra battuta… stupendamente (e facilmente) comunque percorribile.
Scendendo lungo quella
scalinata non potei fare a meno di ricordare alcune fanciullesche avventure vissute
con i compagni delle scuole elementari e delle scuole medie quando, all’insaputa
(perché diversamente sarebbero state botte) dei nostri genitori ci inoltravamo
per alcuni sentieri tutt’altro che sicuri per imberbi personaggi quali noi…
tutti potenziali protagonisti di romanzi per ragazzi tanto in voga negli anni
Sessanta e Settanta del XX secolo.
Era in quelle zone, nascoste
agli occhi proibizionisti dei grandi, che potevamo finalmente dar vita al
seguito delle stupende avventure che avevamo visto quello stesso giorno o
qualche giorno prima nella magica sala del cinema di San Fili: Zorro, Tarzan,
Maciste, Ursus, Sansone… King Kong e chissà quanti altri rivivevano nelle
nostre sempre più reali mitiche gesta.
Noi, all’epoca, eravamo tutto ciò.
Nel mezzo della discesa mi
rivedo d’incanto davanti il carissimo indimenticato Giorgino Curatolo che,
seppur morto ormai da qualche anno, ancora era poco sopra la via che stavo
calpestando… intento a zappare il suo piccolo, curato e scosceso pezzettino di
terra. Era un amore vederlo con la zappa o la falce in mano, era (… e continua
ad essere!) un amore ricordarlo col suo magico mandolino cullare con le sue
dolci note tutta piazza san Giovanni… nella penombra del suo studio… nascosto e
presente nel contempo agli occhi ed alle orecchie dei più.
Nel mezzo della discesa mi
rivedo, agli inizi del 2000, impegnato con gli amici dell’allora neonata Pro
Loco lavorare (falci ed altri attrezzi fra le mani… io sempre armato della
macchina fotografica) per riaprire il passaggio (ormai pieno di spine, ortiche
ed erbacce d’ogni genere) che in breve ci avrebbe condotto alla fontana di
Palazia e che, in futuro, da tale fontana ci avrebbe dovuto condurre alla parte
bassa del Canalicchio (la discesa che da piazza Rinacchio porta al piano delle
Volette) in un non tanto immaginario percorso che, nella nostra fantasia, all’epoca
prese il titolo di… “Dal mulino delle fate aru tesoru du Canalicchiu”.
Altri tempi… ed io c’ero.
Altri tempi… ed io ci sono.
Già: dicendo e facendo sono ormai giunto davanti alla fontana di Palazia,
restaurata agli inizi degli anni Ottanta del XX secolo dagli infaticabili (…
una fesseria ogni tanto è bello dirla! … ancor più bello se la stessa è
grande!) operai del Consorzio di Bonifica: gli universitari (all’epoca) sanfilesi.
Lateralmente alla fontana di
Palazia, alla sua sinistra, si trova una colonna del ponte della superstrada…
tanto immensa quanto spaventosa. Il letto del fiume (ed anche la camminata
facilmente percorribile anche a piedi (in parte bloccata dalle due frane in cui
mi sarei imbattuto a breve) si trova qualche metro più sotto… non troppo
difficile da raggiungere… ma sicuramente non si ci può arrivare con i tacchi a
spillo ai piedi.
… ma questa è un’altra storia
che vi racconterò un’altra volta magari in questa stessa avventura che…
comunque continua… alla prossima puntata.
* * *
… un caro abbraccio a tutti da Pietro Perri.
… /pace.
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